Test Ortomolecolari - il Test Genetico del DNA

 

 

Tests genetici: ciò che dovreste sapere

 

Che cosa sono i geni e come si correlano con le malattie?

I geni sono segmenti di DNA che si trovano nei cromosomi e controllano la crescita e contribuiscono a mantenere lo stato di salute. Talvolta quando i geni sono anomali o dannegiati, possono non lavorare efficacemente ed indurre mallattie. Alcune anomalie genetiche, o mutazioni geniche, possono presentarsi in alcune famiglie, mentre altre possono verificarsi solo occasionalemnte. Talvolta una mutazione può causare una malattia in un individuo, ma molte patologie sono provocate dalla combinazione di fattori genetici ed ambientali.
 

Che cos'è un test genetico?

Un test genetico può aiutare a dimostrare se avete una tendenza ereditaria a sviluppare una certa malattia, per eseguirlo è normalmente sufficiente un campione di sangue o di cute.
 

Cosa significa se un test risulta positivo?

Un test positivo significa che siete porattori della mutazione ricercata e che siete più esposti a sviluppare una determinata malattia rispetto al resto della popolazione, tuttavia ciò non implica che necessariamente dovrete ammalarvi di tale patologia.
 

Cosa significa se il test risulta negativo?

Un test negativo significa che non siete portatori di una determinata mutazione e che questa non compare nella vostra famiglia. Un risultato negativo non significa che non contrarrete la malattia, ma che semplicemente siete meno vulnerabili del resto della popolazione a svilupparla.


Chi dovrebbe sottoporsi ai tests genetici?

Osservando la vostra storia di familiare, il vostro medico può dirvi a se siete predisposti ad avere una mutazione del gene che può contribuire alla malattia. Una malattia potrebbe svilupparsi nella vostra famiglia se un consanguineo avesse sviluppato la malattia in età giovanile, se parecchi membri della famiglia hanno la malattia o se la circostanza è rara. Le persone provenienti da determinati gruppi etnici possono essere più predisposte a realizzare determinate malattie. Se uno dei vostri membri della famiglia ha già sviluppato la malattia, quella persona dovrebbe essere esaminata in primo luogo. Ciò aiuta ad evidenziare quali geni sono associati con la malattia.
 

Come posso decidere se sottopormi ai tests?

Se pensate potete essere all'elevato rischio per una malattia ereditaria, parlatene con il vostro medico esperto di medicina ortomolecolare e geneticadi fiducia il quale vi farà delle domande riguardo alla vostra salute ed alla salute dei vostri parenti consanguinei. Queste informazioni aiuteranno il vostro medico a scoprire quali potrebbero essere i vostri rischi genetici principali. Le informazioni che il vostro medico vi fornirà inerenti i vostri rischi potranno aiutarvi a decidere se sottoporvi agli esami. Ci sono due domande importanti dovreste porvi prima di sottoporvi ad test genetico:
 

1. Che vantaggio posso trarre da questo tipo di test?

 

Eccovi alcune ragioni valide in proposito:
Potreste non essere così preoccupati rigaurdo all'idea di contrarre una malattia;
Potreste essere in grado di cambiare le vostre abitudini di vita al fine di ridurre il rischio di contrarre la malattia stessa;
Il vostro medico saprà ogni quanto tempo controllarvi per valutare se una particolare malattia si stesse sviluppando;
Potreste prendere la medicina per prevenire la malattia.

 

2. Ci sono degli effetti negativi se ci sottopne ai tests genetici?

 

Qui sono alcune ragioni per le quali potreste non desiderare di sapere che potreste sviluppare il rischio per una determinata malattia:
Il test potrebbe preoccuparvi di ammalarvi;
Il test potrebbe stressarvi, facendovi sentire colpevoli o esasperare i vostri rapporti familiari;

Il test potrebbe generare eventuali problemi con il datore di lavoro o con le assicurazioni.
 

 

Il test Genetico


Il test si basa sull’analisi di 50 polimorfismi genetici, localizzati su 36 geni, che esercitano un importante ruolo nei processi di detossificazione, nel processo infiammatorio, nell’attività antiossidante, nella sensibilità all’insulina, nello stato di salute del cuore e delle ossa.

 

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Elenco dei geni investigati e delle varianti genetiche studiate:

 

Gene analizzato

Varianti genetiche studiate

Ruolo del gene nell’insorgenza delle patologie cardiovascolari

APOA1

-75 G>A

METABOLISMO DEI LIPIDI

Apo B

R3500Q

APOC3

C3175G

T3206G

APO E

Cys112Arg

Arg158Cys

CETP

G279A

G1533A

GJA4 (CX37)

Pro319Ser

HMGCR

-911 C-A

LPL

C1595G

MMP3

-1171 5A>6A

NOS3

-786 T>C

Glu298Asp

VNTR introne 4

PON1

Gln192Arg

SREBF2

Gly595Ala

ADRA2B

Ins>Del Codon 299

METABOLISMO E OBESITA’

ADRB1

Gly389Arg

ADRB2

Gly16Arg

Gln27Glu

ADRB3

Trp64Arg

NPY

Leu7Pro

PPARG

Pro12Ala

CBS

C699T

Metabolismo dell’Omocisteina

T1080C

MTHFR

C677T

A1298C

MTR

A2756G

MTRR

A66G

ACT

-51 G-T

Risposta infiammatoria

IL-1B

-511 C-T

IL-6

G-634C

G-174C

IL-10

G-1082°

TNFα

-308 G-A

MnSOD

C(-28)T

Attività antiossidante E DETOSSIFICAZIONE

T175C

SOD3

C760G

GSTP1

I105V

A114V

GSTM1

delezione del gene

GSTT1

delezione del gene

VDR

Fok1 (ATG ®ACG codon 1)

metabolismo osseo e osteoporosi

BsmI (A-G introne 8)

TaqI (T-C esone 9)

COLIA1

Intr. 1 2046 G-T

CTR

Pro463Leu

ESR1

PvuII (IVS1-397 T/C)

XbaI (IVS1-351 A/G)


 

LA NUTRIGENETICA

Le scoperte più recenti sul genoma umano ci forniscono gli strumenti e le basi per comprendere i meccanismi molecolari attraverso i quali singoli geni, o loro combinazioni, rispondono ai cambiamenti nella dieta e nello stile di vita (esposizione al fumo di sigaretta, consumo di alcol ecc.), rendendo un individuo particolarmente sensibile a contrarre un certo tipo di patologia e di far luce sui meccanismi tramite i quali la dieta, influenzando l’espressione genica, può esercitare un effetto protettivo. In definitiva le potenzialità offerte da questo nuovo approccio ci introducono in una nuova era della scienza della nutrizione, la nutrigenetica.


La nutrigenetica riguarda l’identificazione delle variazioni genetiche nell’uomo che causano differenze nella risposta fenotipica alle molecole introdotte con la dieta, con l’obiettivo di valutare i rischi e i benefici per l’individuo di determinate componenti della dieta. In termini pratici, con la nutrigenetica è possibile sviluppare una nutrizione personalizzata alla costituzione genetica dell’individuo, tenendo conto della variabilità dei geni coinvolti nel metabolismo del nutriente e del suo bersaglio.
La nutrigenetica può avvalersi di potenti strumenti in grado di fornire informazioni specifiche, individuali e precoci, rispetto ai tradizionali sistemi diagnostici, sul ruolo preventivo svolto dai nutrienti. Sono state messe a punto tecniche bio-molecolari per caratterizzare i geni e chiarire le interazioni tra questi e i nutrienti.


Le basi concettuali di questa nuova branca possono essere riassunte nei seguenti punti:

 

LA MEDICINA PREDITTIVA

Il progetto genoma umano ha consegnato alla comunità scientifica internazionale una sequenza genetica di tre miliardi di paia di basi condivisa al 99,9% da tutti gli individui. Le differenze fra individui sono costituite per la maggior parte da polimorfismi nucleotidici, ovvero cambiamenti di una singola base nel DNA.
In campo medico, le nuove conoscenze sul Genoma Umano hanno permesso il consolidarsi di una nuova dimensione molecolare della medicina, in particolare di un settore definito come “Medicina Predittiva”, ovvero una medicina, che basandosi sulle informazioni ricavabili dalla costituzione genetica di un individuo, possa anticipare una stima del rischio di quest’ultimo di sviluppare una determinata patologia durante il corso della vita.
L’interesse per la componente genetica della suscettibilità a malattie complesse sta assumendo sempre più importanza nella medicina moderna, in quanto si sta mettendo in evidenza il ruolo di alcuni polimorfismi genetici relativamente comuni, ma che se associati tra loro e combinati con specifiche componenti ambientali, possono elevare notevolmente il rischio di sviluppare patologie diffuse nella società industriale.
 

LA NUTRIZIONE PERSONALIZZATA

Con la nutrigenetica, il concetto di medicina «personalizzata» viene esteso all’area della nutrizione. Se volete approfondire la vostra componente genetica esistono dei tests mirati che possono foirniurvi preziose ed uniche (le vostre) chiavi di lettura per comprendere se ilo vostro corpo alla stregua di un’autovettura deve essere rifornito con combustile, a benzina, gasolo o GPL…. La variabilità genetica individuale ci pone comparativamente a considerare l’organismo come un puzzle irrisolto, del quale si stanno cominciando a decifrare i programmi di utilizzo codificati nei geni stessi che come hard disk contengono miriadi d’indformazioni che è necessario conoscere per poter garantire una perfetta operatività,determinando come i nutrienti vengono assimilati, metabolizzati, accumulati e in fine escreti, è alla base della peculiarità di ciascuno nel rispondere alle molecole introdotte nell’organismo e, in generale, agli stili alimentari e di vita.(per info sui tests delo benessere : www.aimo.it)
Senza dubbio però la più affascinante delle opportunità che si aprono nel campo della nutrigenetica è lo sviluppo, partendo dalle differenze genetiche individuali, di una «nutrizione personalizzata», allo scopo di ottenere una effettiva terapia dietetica «salutare» in grado di prevenire o ritardare l’insorgenza di patologie correlate all’alimentazione, per singoli individui o per particolari sottogruppi.


INTERAZIONE GENE-DIETA

Il concetto che le conoscenze sulle richieste nutrizionali, lo stato di nutrizione e il genotipo di un individuo o di un sottogruppo di popolazione possano essere usate per la prevenzione e la cura di alcune patologie risulta di facile e immediata comprensione per quanto riguarda situazioni come le carenze nutrizionali, ma certamente meno ovvio per un gruppo di circa 50 malattie genetiche umane causate dalla presenza di varianti in geni che codificano per enzimi coinvolti in specifiche vie metaboliche. Ciascuno dei nostri geni possiede circa 10 differenze nel suo «codice» rispetto al «gene standard», queste deviazioni vengono chiamate «polimorfismi » (SNPs= single gene polymorphisms) e le varianti che ne conseguono «alleli». È ovvio che, vista la relativa alta frequenza con cui tali mutazioni ricorrono nel genoma, non tutti i polimorfismi causano gravi implicazioni per la salute, la maggior parte di essi esibisce invece solo un lieve effetto sulla funzionalità della proteina per cui codifica. Le differenze individuali che ne risultano possono spiegare perché non tutti reagiamo in modo identico alle varie sollecitazioni e la nutrigenomica descrive appunto i cambiamenti nell’espressione genica in seguito a uno specifico intervento nutrizionale. Le molecole che introduciamo con la dieta possono modulare aspetti specifici della fisiologia cellulare, agendo da ligandi per i recettori dei fattori di trascrizione, alterando le concentrazioni di substrati e metaboliti e, tramite interazioni a livello degli acidi nucleici, influenzando specifiche vie di traduzione del segnale.

 

METABOLISMO DEI LIPIDI

I graasi o lipidi sono i più studiati determinanti delle malattie cardiovascolari e la comprensione dei meccanismi molecolari alla base dei disordini del metabolismo lipidico è di grande importanza per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
I geni coinvolti nella regolazione del metabolismo lipidico finora identificati sono numerosissimi e l’elenco non è ancora completo. Inoltre è noto che l’omeostasi del metabolismo lipidico è regolata anche da diversi fattori ambientali non genetici come abitudine al fumo di sigaretta, consumo di alcool, composizione della dieta e attività fisica.
Sebbene allo stato attuale delle conoscenze non sia possibile stabilire con precisione il contributo dei fattori genetici e dei fattori ambientali nella etiologia delle dislipidemie, tuttavia sono molto rari i casi in cui una dislipidemia si manifesti per effetto di una alterazione genetica in assenza di un contesto ambientale predisponente, e anche in questi casi i fattori ambientali sono comunque in grado di modulare la severità del disordine metabolico e di influenzare l’età in cui questo si manifesta.

Sotto il profilo della salute pubblica la nutrizione è il fattore ambientale più importante che interagisce con i nostri geni nel modulare la comparsa di disordini del metabolismo lipidico. È noto che la concentrazione dei lipidi plasmatici è molto influenzata dal contenuto di grassi saturi della dieta e che a livello di popolazione le concentrazioni medie di colesterolo sono più elevate in quei paesi che consumano diete ricche di grassi saturi e più basse nei paesi con diete povere di grassi e ricche di vegetali e fibre. Tuttavia a livello dell’individuo la variazione dei lipidi plasmatici in risposta a modifiche dietetiche è variabile, alcuni soggetti rispondono molto bene, mentre altri sono relativamente insensibili. In alcuni casi, livelli alti di colesterolo sono stati osservati in correlazione a specifiche mutazioni geniche e le persone che portano tali mutazioni rappresentano soggetti ad alto rischio di patologie cardiovascolari.

 

Apolipoproteina A1 (APOA1): polimorfismo -75 G>A

L’apolipoproteina A1 (APOA1) costituisce il maggiore componente proteico delle lipoproteine ad alta densità (HDL, il cosiddetto colesterolo buono). Poiché APOA1 esercita un ruolo importante nel trasporto inverso del colesterolo, bassi livelli sierici di APOA1/HDL rappresentano un ben conosciuto fattore di rischio di patologie delle arterie coronariche (CAD). Un frequente polimorfismo del gene APOA1 localizzatio nella regione promotore, -75G>A, modula l’espressione dell’apolipoproteina A1. Importanti interazioni tra questo polimorfismo, abitudini dietetiche e livelli di HDL sono ben conosciute. I portatori della variante allelica del polimorfismo -75G>A, possono aumentare il loro livello sierico di HDL in risposta ad una maggiore assunzione con la dieta di acidi grassi insaturi. Jeenah (1990) Mol Biol Med 7, 233
Apolipoproteina B (Apo B): mutazione R3500Q
Le apolipoproteine sono delle proteine appartenenti ai complessi VLDL e LDL (Very Low Density Lipoproteins e Low Density Lipoproteins) e sono responsabili della solubilità dei lipidi nel sangue e del loro riassorbimento nelle cellule. In particolare, l’apolipoproteina B-100 (Apo B-100) è necessaria per la solubilità e il riassorbimento del colesterolo. Il complesso Apo B-100-colesterolo viene riconosciuto dai recettori di membrana LDL e quindi riassorbito nelle cellule. Il gene che codifica l’Apo B-100 è soggetto a polimorfismi di cui, il più frequente (R3500Q), provoca una diminuzione dell’affinità del legame Apo B-100-“recettore LDL di membrana”. L’ Apo B-100 mutata resta libera nel sangue, causando un’ipercolesterolemia ed un aumento del rischio di formazione di placche ostruttive. Inoltre la mutazione di questa proteina è un importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’arteriosclerosi precoce e delle deficienze coronariche arteriose (coronary artery disease, CAD). È stato dimostrato che il 3.5% dei casi di ipercolesterolemia ha come causa primaria una mutazione sul gene dell’Apo B-100. Questo tipo di mutazione è conosciuta clinicamente anche come Familial Defective apolipoprotein B-100 (FDB). Studi su pazienti con FDB hanno dimostrato che il loro livello di colesterolo è mediamente di 8 mmol/l, mentre il valore normale è minore di 5.2 mmol/l.
La mutazione di questo gene, che si trova sul cromosoma 2, provoca nella proteina una sostituzione dell’aminoacido Arginina con una Glutamina in posizione 3500 (R3500Q); questo scambio fra aminoacidi ha come conseguenza un cambiamento della conformazione della struttura terziaria dell’ Apo B-100, nella zona di riconoscimento per il recettore LDL. La diminuzione di affinità fra Apo B-100 e recettore LDL può essere superiore al 20% nei pazienti omozigoti. La prevalenza di questa mutazione nella popolazione caucasica varia da 1:700 a 1:500. Soria (1989) Proc Natl Acad Sci U S A 86, 587
Apolipoproteina C3 (APOC3): polimorfismi C3175G e T3206G
L'Apolipoproteina C3 (APOC3) esercita un ruolo importante nel metabolismo dei lipidi, inibendo il metabolismo del triacil-glicerolo ad opera dell'enzima lipoproteina-lipasi, con conseguente incremento del livello di trigliceridi (ipertrigliceridemia). I polimorfismi C3175G e T3206G del gene APOC3 sono associati ad un rischio 4 volte superiore di ipertrigliceridemia e ad un elevato rischio di insorgenza di infarti, arteriosclerosi e patologie cardiovascolari. (Newman (2004) Eur J Hum Genet 12, 584; Xu CF et al (1994) Clin Genet. 46:385-97).

 

Apolipoproteina E (APO E): genotipizzazione alleli E2, E3, E4

Il gene APOE, è situato sul cromosoma 19 e codifica per l’ apolipoproteina E (APOE), una proteina plasmatica, coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega alla proteina amiloide. Sono presenti tre isoforme (conformazioni strutturali diverse della stessa proteina) di ApoE: Apoε2, Apoε3 e Apoε4, che modulano l’impatto della dieta sulla concentrazione dei lipidi plasmatici. Tali isoforme sono i prodotti di 3 forme alleliche diverse (ε2, ε3, ε4), determinate dal cambiamento dell’amminoacido in due diverse posizioni (varianti Cys112Arg e Arg158Cys).
Le apolipoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo. L’APOE viene sintetizzata principalmente nel fegato ed ha la funzione di trasportatore lipidico. E’ noto da tempo che elevati livelli di colesterolo costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. In particolare non solo il livello di colesterolo totale ma anche il livelli relativi di HDL, LDL e trigliceridi rivestono notevole importanza nella patogenesi delle malattie vascolari. L’APOE è stato uno dei primi marcatori genetici ad essere studiati come fattore di rischio per l’infarto del miocardio. Studi effettuati su una ampia popolazione di pazienti con infarto del miocardio e relativo gruppo di controllo hanno confermato dati già presenti in letteratura dove l’allele ε4 dell’APOE (APOE4) era stato considerato un fattore di rischio genetico per le malattie cardiovascolari. I portatori dell’allele 4 presentano infatti livelli più elevati di colesterolo totale e LDL, in presenza di un’alimentazione ricca in colesterolo, e quindi hanno un rischio maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari. Tuttavia questi soggetti sono anche quelli che rispondono meglio quando sottoposti a diete con ridotto contenuto di grassi, mentre i portatori delle varianti ApoE2 e 3 presentano risposte variabili. Weisgraber, 1981, J. Biol. Chem. 256: 9077-9083; Rall, 1982, Proc. Nat. Acad. Sci. 79: 4696-4700; Das, 1985, J. Biol. Chem. 260: 6240-6247; Paik, 1985, Proc. Nat. Acad. Sci. 82: 3445-3449.

 

Cholesterol ester transfer protein (CETP): polimorfismi G279A e G1533A

Il CETP è coinvolto nel metabolismo dei lipidi, mediando lo scambio di lipidi tra lipoproteine mediante il trasferimento di esteri del colesterolo dalle HDL alle lipoproteine ricche di trigliceridi, con conseguente riduzione dei livelli di HDL. Il polimorfismo dell’introne 1 del gene CETP G279A aumenta le concentrazioni del CETP e riduce i livelli di HDL a favore di LDL e VLDL. Un altro polimorfismo, G1533A, localizzato nell’esone 15 del gene CETP, che determina la variazione aminoacidica Arg->Gln a livello del codone 451, è anch’esso associato ad una aumentata attività plasmatici della CETP. Ridotti livelli di HDL sono associati ad un rischio aumentato di patologie cardiovascolari. Freeman et al.(1990), Clin Sci.;79:575-581; Kakko et al. (1998) Atherosclerosis. 136(2):233-40

 

GAP JUNCTION PROTEIN ALPHA 4 (CONNESSINA 37): variante Pro319Ser

La Connesina 37 (CX37) costituisce un importante fattore molecolare coinvolto nello sviluppo dei vasi arteriosclerotici. La CX37 è espressa nelle cellule endoteliali ed è codificata dal gene GJA4. Una variante aminoacidica a livello del codone 319 (Pro319Ser) di tale gene costituisce un marker prognostico per lo sviluppo di placche arteriosclerotiche ed un marker di rischio genetico per l’arteriosclerosi. Boerma (1999) J Intern Med. Aug;246(2):211-8.

 

Idrossi-metil-glutaril-coenzima A reduttasi (HMGCR): polimorfismo -911 C-A

L’ idrossi-metil-glutaril-coenzima A reduttasi (HMGCR) è un gene che codifica per l’omonima proteina. Questa è un enzima fondamentale per la sintesi del colesterolo. Si è gia ricordato precedentemente che elevati livelli di colesterolo sono un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, poiché predispongono alla formazione delle lesioni aterosclerotiche. È interessante notare che data la sua posizione strategica nella catena biosintetica che porta alla sintesi di colesterolo, l’HMGCR è anche il target farmacologico delle statine, una famiglia di farmaci che agisce abbassando i livelli di colesterolo. Questo effetto viene ottenuto inibendo l’azione enzimatica svolta dall’HMGCR. Sulla base di queste osservazioni è stato studiato un polimorfismo nella regione promotrice del gene HMGCR in posizione -911 che consiste nella sostituzione di una C (citosina) con una A (adenina). Questo polimorfismo è stato studiato in una ampia coorte di pazienti con infarto del miocardio e relativo gruppo di controllo. Il polimorfismo è risultato essere associato ad un aumentato rischio di sviluppare l’infarto del miocardio. In particolare la presenza dell’A nel polimorfismo dell’HMGCR risultava associato all’infarto in età giovanile. Licastro Neurobiol Aging. 2006

 

Lipoproteina lipasi (LPL): polimorfismo C1595G

La lipoproteina lipasi (LPL) è un enzima coinvolto nel metabolismo dei trigliceridi nelle lipoproteine circolanti. Questo enzima è sintetizzato dalle cellule del tessuto adiposo e muscolare e dopo essere secreto è trasportato sull’endotelio dei capillari, dove interagisce con le lipoproteine ricche in trigliceridi. L’LPL migliora l’assorbimento delle lipoproteine da parte del fegato e delle pareti dei vasi sanguigni.
Il polimorfismo C1595G sembra avere un ruolo benefico in quanto è stato associato con un rischio diminuito di insorgenza di patologie cardiovascolari, ridotta pressione arteriosa e bassi livelli di trigliceridi. (Kobayashi et al., 1992 Biochem Biophys Res Commun. 15;182:70-7)

 

Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3): polimorfismo promotore -1171 5A>6A

Le metalloproteinasi sono una famiglia di enzimi importanti nel processo di rimodellamento della matrice extracellulare e nell’irrigidimento età-dipendente delle arterie, e quindi coinvolte nell’eziologia aterosclerotica e in particolare nell’evoluzione delle placche.
Le placche aterosclerotiche sono costituite da due componenti principali: un tessuto ricco di lipidi e uno sclerotico ricco di collagene. Le placche sclerotiche sono da considerarsi meno a rischio in quanto sono le più stabili; al contrario la componente “molle” ateromatosa dà instabilità alla placca e la rende più friabile e quindi più a rischio d’eventi trombotici. In questi meccanismi è stato ampiamente dimostrato il ruolo delle Metalloproteinasi, in quanto enzimi deputati alla riorganizzazione delle placche stesse.
Recentemente, nella zona del promotore (in posizione -1171)del gene MMP3, un membro della famiglia delle MMP, è stato individuato un polimorfismo (5A>6A) che influenza l’attività enzimatica di MMP3. L’allele 5A determina una maggiore attività ed è stato associato con un rischio maggiore di infarto al miocardio, mentre l’allele 6A determina una ridotta attività dell’enzima e costituisce un marker di rischio per la stenosi arteriosa. Per questo polimorfimo, gli esperti suggeriscono che il genotipo ottimale sia una eterozigoti per gli alleli (5A/6A). Ye (1996) J Biol Chem271(22):13055-60

 

Ossido sintetasi endoteliale (eNOS): polimorfismi -786 T>C, Glu298Asp e VNTR introne 4

Nel sistema vascolare, l’ossido nitrico (NO) esercita un ruolo importante producendo vasodilatazione, regolando il flusso sanguigno e la pressione arteriosa, e conferendo tromboresistenza e proprietà protettive all’endotelio dei vasi sanguigni. La vasodilatazione endotelio-dipendente è mediata dal rilascio di NO prodotto dall’ossido sintetasi endoteliale (eNOS). Una ridotta sintesi di NO o nella sua minore bio-disponibilità potrebbe essere la causa della ridotta vasodilatazione endotelio-dipendente che si osserva nei vasi sanguigni di soggetti fattori di rischio cardiovascolari, quali fumatori attivi e passivi, pazienti con ipertensione o ipercolesterolemia. La mancanza di effetti NO-mediati può inoltre predisporre allo sviluppo di arteriosclerosi.
Il polimorfismo -786 T>C della regione promotore del gene codificante ossido sintetasi endoteliale (NOS3) riduce la sintesi di NO endoteliale, suggerendo che i portatori di tale variazione nucleotidica sono predisposti all’insorgenza di patologie coronariche. Ma l’indicazione più importante è data dal fatto che questa riduzione è esacerbata dal fumo di sigaretta.
La variante missense Glu298Asp, presente a livello dell’esone 7 del gene NOS3, agirebbe in sinergia con il polimorfismo della regione promotore, aumentando ulteriormente il rischio di patologie coronariche.
Un raro polimorfismo VNTR localizzato a livello dell’introne 4 del gene NOS3 (Ins>Del Introne 4) rappresenta un fattore di rischio di infarto al miocardio (MI). La frequenza di questa variante si è mostrata significativamente più elevata (di circa 7 volte) in pazienti con MI senza conosciuti fattori di rischio secondari. Questa variante è stata inoltre associata con stenosi arteriosa, specialmente in associazione con il tradizionale fattore di rischio del fumo di sigaretta. Yoshimura (1998) Hum Genet 103, 65; Nakayama (1999) Circulation 99, 2864; Wang (1996) Nat Med;2:41-45.
 

PARAOXONASI 1 (PON1): polimorfismo Gln192Arg

La Paraoxonasi è una glicoproteina calcio-dipendente, che circola nelle lipoproteine ad alta densità (HDL), in grado di prevenire la perossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e di contrastare pertanto il processo ateromasico. Il gene PON1, codificante tale proteina, appartiene ad una famiglia multigenica insieme ad altri due geni PON-simili, denominati PON2 e PON3, tutti localizzati sul braccio lungo del cromosoma 7. Sono noti diversi polimorfismi del cluster dei geni PON: il polimorfismo Gln192Arg nel gene PON1; è stato associato a rischio cardiovascolare, in quanto favorenti il processo aterosclerotico. Ranade (2005) Stroke. 36(11):2346-50.

 

STEROL REGULATORY ELEMENT BINDING TRANSCRIPTION FACTOR 2 (SREBF2): polimorfismo Gly595Ala

La famiglia delle SREBP ha un ruolo importante nella regolazione del metabolismo cellulare del colesterolo e degli acidi grassi. Un membro di questa famiglia, il SREBF2, esercita un ruolo chiave nell’omeostasi del colesterolo, attivando l’assorbimento di colesterolo plasmatici mediato dal recettore dell’LDL. Un polimorfismo SNP del gene SREBF2, Gly595Ala, che causa una variazione aminoacidica Gly>Ala a livello del codone 595, è associato ad ipercolesterolemia. Durst (2006) Atherosclerosis. Dec;189(2):443-50.
 

METABOLISMO E OBESITA’

L’obesità è una malattia complessa dovuta a fattori genetici, ambientali ed individuali con conseguente alterazione del bilancio energetico ed accumulo eccessivo di tessuto adiposo nell’organismo. Studi su famiglie hanno sempre sostenuto l’ipotesi di un’influenza genetica, responsabile delle cosiddette anomalie metaboliche che faciliterebbero l’insorgenza dell’obesità in presenza di alta disponibilità di alimenti e cronico sedentarismo. L’obesità rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari.

 

Recettore adrenergico alfa 2B: mutazione Ins>Del Codon 299

I recettori adrenergici alfa2 influenzano il metabolismo energetico attraverso l’inibizione della secrezione di insulina e la lipolisi. Il gene codificate per il recettore adrenergico Alfa2B (ADRA2B) presenta un polimorfismo Ins>Del Codon 299. La variante Del Codon 299 è molto comune nei caucasici (circa il 31%) ed è stata associate in vivo con una ridotta dilatazione delle arterie brachiali e con un ridotto flusso delle arterie coronariche. Inoltre si pensa che tale variante incida sul metabolismo basale e contribuisca all’obesità. Heinonen (1999) J Clin Endocrinol Metab. 84(7):2429-33
 

Recettore adrenergico Beta 1 (ADRB1): polimorfismo Gly389Arg

I recettori adrenergici beta 1 sono i principali recettori cardiaci per Nor-Epinefrina ed Epinefrina, che rappresentano il più importante meccanismo mediante il quale il flusso sanguigno è aumentato ad opera del sistema nervoso simpatico. Il gene ADRB1, codificante per il recettore adrenergico B1. presenta un polimorfismo, Gly389Arg, consistente nella variazione aminoacidica Gly – Arg a livello del codone 389. La variante Arg389 è associate ad una migliore funzione recettoriale. Tale variante sembra predisporre ad infarto ed influenzare la risposta terapeutica al trattamento con Beta bloccanti. La variante Arg389 è inoltre associata ad ipertensione. Mason 1999 J Biol Chem. Apr 30;274(18):12670-4; Iwai C, Am Heart J. 2003 Jul;146(1):106-9

 

Recettore adrenergico Beta 2 (ADRB2): polimorfismi Gly16Arg e Gln27Glu

L’allele Arg16 del gene ADRB2 determina un miglioramento della sensibilizzazione del recettore ed è stato associato ad ipertensione. La contemporanea presenza delle varianti Arg16-Gln27 dell’ ADRB2 comporta una ridotta vasodilatazione mediata dal recettore adrenergico Beta 2. La variante Glu27 è associata ad un incremento dell’attività del recettore, con conseguente obesità e patologie metaboliche. Large 1997 J Clin Invest.100(12):3005-13.
 

Recettore adrenergico Beta 3 (ADRB3): polimorfismo Trp64Arg

Sulla base del suo ruolo biologico nel metabolismo dei lipidi, si pensa che il recettore adrenergico Beta 3 sia uno dei geni che influenza l’accumulo del grasso nel corpo. Una mutazione missense a livello del codone 64 del gene ADRB3 è stata associata con un aumento del body mass index (BMI). Kadowaki 1995 Biochem Biophys Res Commun. 215:555-60.
 

NEUROPEPTIDE Y: polimorfismo Leu7Pro

Il Neuropeptide Y (NPY) esercita un ruolo importante nella regolazione del bilanciamento energetico, mediando la stimolazione all’assunzione di cibo e l’accumulo energetico. Tra le molteplici azioni del NPY vengono anche ricompresse vasocostrizione, regolazione della pressione sanguigna, metabolismo del colesterolo e patogenesi dell’arteriosclerosi.
Un raro polimorfismo del gene codificante per NPY, Leu7Pro, è stato associato ad elevate quantità di colesterolo totale e LDL, specialmente nei pazienti con obesità. Tale polimorfismo, inoltre, è un marker per il rischio di ipertensione ed arteriosclerosi. Karvonen 1998 Nat Med. Dec;4(12):1434-7.

 

Recettore attivato dai proliferatori dei perossisomi - gamma (PPARG): polimorfismo Pro12Ala

PPAR-gamma (PPARG) è un recettore che notoriamente svolge un ruolo importante nella stimolazione del processo naturale del corpo alla base della regolazione del metabolismo lipidico e dei carboidrati, aumentando la sensibilità all’insulina. L’elevata pressione arteriosa, le anomalie lipidiche, la resistenza all’insulina e l’obesità centrale sono le componenti principali della sindrome metabolica, che comunemente prelude alla patologia cardiovascolare ed al diabete di tipo 2. La caratteristica della sindrome metabolica è quella di riunire i maggiori fattori di rischio cardiovascolare compreso l’obesità centrale, la resistenza all’insulina, la pressione arteriosa elevata e le anomalie dei lipidi nel sangue. Quasi un quarto della popolazione mondiale è affetto da sindrome metabolica. Fino ad un massimo dell’80% dei quasi 200 milioni di adulti nel mondo colpiti da diabete decedono a causa di patologie cardiovascolari. Le persone affette da sindrome metabolica sono maggiormente a rischio rispetto alle altre in quanto hanno il doppio delle probabilità di morire per attacco cardiaco ed il triplo delle probabilità di morire per ictus.
Alcuni studi supportano un ruolo benefico del polimorfismo Pro12Ala, che è associato con una ridotta trascrizione del gene PPARgamma2. Tale polimorfismo, inoltre, è associato con una diminuzione del body mass index (BMI), riduzione dei livelli di insulina, aumento dei livelli di HDL e migliorata sensibilità all’insulina. Quindi, il polimorfismo Pro12Ala diminuisce il rischio diabete mellito di tipo II.

 

METABOLISMO DELL’OMOCISTEINA

Negli ultimi anni si vanno accumulando sempre maggiori evidenze scientifiche su come livelli clinicamente aumentati di omocisteina rappresentino un nuovo fattore indipendente di rischio cardiovascolare che si può affiancare agli altri fattori di rischio tradizionali o che può potenziarne gli effetti deleteri sulla parete arteriosa. Il fumo di sigaretta e l’apporto dietetico di folati e vitamina B12 sono tra i principali determinanti delle concentrazioni plasmatiche di omocisteina. L’omocisteina sembrerebbe indurre il danno vascolare interferendo con la produzione di acido nitrico da parte dell’endotelio, determinando iperplasia delle cellule muscolari lisce e aumentando la produzione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo e perossidazione lipidica (così favorendo la formazione della placca aterosclerotica), nonché interferendo con la funzione piastrinica e incrementando la tendenza alla trombosi. L’iperomocisteinemia riveste, inoltre, importanti implicazioni nella riproduzione umana connesse al momento concezionale (aborti ripetuti), allo stato gravidico (patologie vasculodipendenti quali preeclampsia, difetto di crescita fetale, distacco di placenta) e alla menopausa.
Cistationina Beta Sintetasi (CBS): polimorfismi C699T e T1080C
La CBS è un enzima necessario per convertire l’omocisteina in Cistatione. Tale enzima riduce i livelli di omocisteina. E’ stato dimostrato che due polimorfismi del gene CBS (C699T e T1080C) determinano un aumento dell’attività dell’enzima, riducendo la quantità di omocisteina nel sangue. Tali polimorfismi sono associati con un rischio ridotto di insorgenza di patologie coronariche.

 

MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi): polimorfismi C677T e A1298C

La metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che serve come donatore di metili per la rimetilazione della omocisteina a metionina tramite l'intervento della vitamina B12.

Rare mutazioni ( trasmesse con modalità autosomica recessiva) possono causare la deficienza grave di MTHFR con attività enzimatica inferiore al 20% e comparsa di omocisteinemia ed omocistinuria e bassi livelli plasmatici di acido folico. La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello sviluppo psico-motorio e massivi fenomeni trombotici.
Accanto alla deficienza grave di MTHFR è stato identificato un polimorfismo genetico comune, dovuto alla sostituzione di una C (citosina) in T (timina) al nucleotide 677 (C677T), che causa una sostituzione di una alanina in valina nella proteina finale ed una riduzione dell'attività enzimatica della MTHFR pari al 50% ,fino al 30% in condizioni di esposizione al calore (variante termolabile).Tale variante comporta livelli elevati nel sangue di omocisteina specie dopo carico orale di metionina. Questo polimorfismo, tuttavia, non ha conseguenze sui livelli di omocisteina se il contenuto di folati della dieta è elevato, ma si associa a iperomocisteinemia se il contenuto di acido folico della dieta è scarso. Allo stesso modo i soggetti portatori della variante 677CT sono anche quelli che rispondono meglio quando sottoposti a una supplementazione della dieta con folati.
La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di omozigosi pari al 12-13%. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR (A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica (circa il 60% singolarmente; circa il 40% se presente in associazione alla mutazione C677T). Questa mutazione, in pazienti portatori della mutazione C677T, determina un'aumento dei livelli ematici di omocisteina.
Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattore di rischio per malattia vascolare, (trombosi arteriosa) forse attraverso un meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale dei vasi. Inoltre in condizioni di carenza alimentare di acido folico la variante termolabile della MTHFR porta a livelli molto bassi l'acido folico nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo neurale nelle donne in gravidanza. Frosst et al. (1995) Nature Genet. 10: 111-113; Van der Put et al. (1998) Am. J. Hum. Genet. 62: 1044-1051.
 

Metionina sintetasi gene (MTR): polimorfismo A2756G

Il gene MTR codifica per un enzima che è coinvolto nella conversione dell’omocisteina in metionina. Il polimorfismo A2756G aumenta l’attività di questo enzima, incidendo sui livelli ematici di folato ed omocisteina. Ridotti livelli di omocisteina riducono il rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari. Inoltre, è stato dimostrato che la presenza del polimorfismo A2756G determina una diminuzione delle probabilità di difetti del tubo neurale durante la gravidanza ed un rischio diminuito di trombosi venosa. Leclerc (1966) Hum. Molec. Genet. 5: 1867-1874

 

Metionina sintetasi reduttasi (MS_MTRR): polimorfismo A66G

La Metionina sintetasi reduttasi è un enzima necessario per la formazione di un derivato della vitamina B12. Tale enzima è indispensabile per mantenere un adeguata quantità di vitamina B12 cellulare, metionina e folato, e per mantenere bassi i livelli di omocisteina. Il polimorfismo A66G è associato con un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, indipendenti dai livelli di omocisteina. E’ stato inoltre dimostrato che tale polimorfismo aumenti il rischio di difetti del tubo neurale, spina bifida e sindrome di Down durante la gravidanza. Brown (2000) J Cardiovasc Risk 7, 197

 

RISPOSTA INFIAMMATORIA

È noto da molti anni che la deposizione di grassi derivati dal colesterolo nella parete dei vasi induce un’attivazione di cellule normalmente presenti in questa zona dei vasi denominati macrofagi. Il macrofago dopo ingestione di questo materiale viene attivato e induce un’anomala risposta infiammatoria nella parete del vaso che col tempo porta alla formazione della placca aterosclerotica e alle alterazioni vasali tipiche dell’aterosclerosi. Quindi componenti e fattori ad attività regolatoria sulla risposta infiammatoria giocano un ruolo importante nello sviluppo e nella manifestazione clinica delle complicanza dell’aterosclerosi, quali l’infarto del miocardio.

 

Interleuchina-1B (IL-1B): polimorfismo -511 C-T

Il gene dell’ interleuchina-1 (IL-1) è situato sul cromosoma 2 dove è presente un aggregato di geni che codifica sia per l’IL-1b, IL-1a che e per il recettore di queste due molecole. L’IL-1 è una citochina pluripotente, cioè capace di svolgere e regolare molte funzioni immunitarie ed è sopratutto coinvolta nell’attivazione delle risposte infiammatorie. L’IL-1b in particolare viene anche rilasciata nel torrente circolatorio esercitando ance azioni diffuse nell’organismo. Infatti, è uno dei fattori capace di indurre febbre, sonno, anoressia e ipotensione. Questa interleuchina è importante nella patogenesi dell’infarto del miocardio in quanto stimola macrofagi e cellule endoteliali a rilasciare il fattore tissutale (TF), potente induttore dei trombi. Il polimorfismo presente sul promotore dell’IL-1b in posizione -511 consiste nella sostituzione di una C (citosina) con una T (timina). La presenza dell’allele T in concomitanza con determinati alleli di altri polimorfismi su altri geni aumenta il rischio di sviluppare la malattia, pertanto i soggetti portatori di tale genotipo, soprattuto quando presente insieme ad altri genotipi, hanno maggiori probabilità di avere l’infarto del miocardio rispetto ai non portatori. Invece, nei soggetti con polimorfismo IL-1 beta protettivo la coagulazione del sangue viene indotta in misura molto minore, riducendo in tal modo la probabilita' di essere esposti al rischio di infarto o di ictus. Mattila (2002) J Med Genet 39, 400

 

Interleuchina-6 (IL-6): mutazioni G-634C e G-174C

Il gene dell’ interleuchina-6 (IL-6) è situato sul cromosoma 7 e codifica per l’omonima proteina. L’IL-6 è una citochina pleiotropica, in grado di svolgere molte funzioni; generalmente ha azione pro-infiammatoria, quindi induce le risposte infiammatorie. L’IL-6 è coinvolta nella regolazione della risposta infiammatoria sia acuta che cronica e nella modulazione delle risposte immunitarie specifiche. È ormai noto che l’infiammazione ha un ruolo principale nella patogenesi dell’aterosclerosi poiché le placche aterosclerotiche e le lesioni associate presentano un infiltrato di cellule immunitarie attivate e una aumentata sintesi di molecole infiammatorie. A questo proposito l’IL-6 è stata una delle prime citochine studiate nelle malattie cardiovascolari in quanto promuove la formazione degli ateromi, dislipidemia e ipertensione. Vari studi che hanno seguito popolazioni nel tempo hanno proposto di usare il livello plasmatico di questa proteina come marcatore predittivo dell’infarto. Infatti è stato osservato che i livelli ematici della IL-6 aumentavano molto tempo prima della manifestazione clinica dell’infarto e correlavano con l’incidenza della malattia. Il gene dell’IL-6 contiene vari polimorfismi fra cui uno presente nel promotore in posizione -174 che consiste nella sostituzione di una G (guanina) con una C (citosina), ed un altro presente in posizione -634, anche questo caratterizzato dalla sostituzione di una G con una C. Da studi condotti su un gruppo di pazienti con infarto al miocardio e su un gruppo di soggetti sani senza patologie cardiovascolari è emerso che questi polimorfismi rappresentano un fattore di rischio per l’infarto. Ovvero i portatori dell’allele mutato C hanno una probabilità maggiore di essere colpiti da tale patologia rispetto ai non portatori. Inoltre la presenza di questi alleli correla anche con maggiori livelli plasmatici di IL-6. Fishman (1998) J Clin Invest 102, 1369.

 
Interleuchina-10 (IL-10): mutazione G-1082A

L’ interleuchina 10 (IL-10) è un gene situato sul cromosoma 1 e codifica per l’omonima proteina. È una molecola antinfiammatoria ovvero inibisce il rilascio delle citochine pro-infiammatorie durante lo sviluppo delle risposte infiammatorie. Viene secreta dai linfociti T, monociti e macrofagi. Questa molecola regola le risposte infiammatorie ed ha attività immunosoppressiva. Dato che la presenza di una risposta infiammatoria mal controllata promuove le malattie cardiovascolari, l’IL-10, avendo una azione immunosoppressiva, assume un ruolo importante e protettivo nella patogenesi delle malattie cardiocircolatorie. Molti studi hanno studiato il polimorfismo presente nella regione promotore del gene dell’IL-10 in posizione -1082. Tale polimorfismo consiste nella sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina). È utile ricordare che studi in vitro hanno suggerito che la presenza dell’allele A è associata ad una minor produzione della molecola di IL-10. E emerso che la presenza del genotipo AA aumenta il rischio di sviluppare infarto al miocardio, in altre parole i portatori di tale genotipo hanno un rischio maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari rispetto ai non portatori. Murakozy (2001) J Mol Med 79, 665.

 

Fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα): polimorfismo -308 G-A

Il gene fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα) è situato sul cromosoma 6 e codifica per l’omonima proteina. Il TNFα è una citochina pro-infiammatoria pleiotropica cioè in grado di svolgere numerose funzione di regolazione sulle risposte immunitarie. IL TNFα è anche un importante mediatore delle risposte infiammatorie sia acute che croniche. La concentrazione del TNFα aumenta durante i danni vascolari prodotti dalla formazione di trombi Questo fattore promuove le cellule endoteliali danneggiate stimolandole a produrre le molecole di adesione. Quindi favorendo l’adesione alle cellule endoteliali il TNFα si comporta come un fattore promuovente l’aterogenesi e il danno vascolare causa dell’infarto. Il gene del TNFα ha vari siti polimorfici, tra cui un polimorfismo presente nella regione promotrice del gene in posizione -308. Questo polimorfismo consiste di una sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina). Studi in vitro hanno messo in evidenza che la presenza dell’allele A è associata ad una maggiore produzione della molecola stessa. I nostri studi di fisiopatologia clinica hanno indicato che questo polimorfismo risultava essere un marcatore per le malattie cardiovascolari. Analizzando i dati ottenuti genotipizzando un gruppo di pazienti con infarto al miocardio e relativo gruppo di controllo, si può affermare che questo genotipo risulta essere un marcatore di rischio di infarto al miocardio. Herrmann Eur J Clin Invest. 1998 Jan;28(1):59-66.

 

ATTIVITÀ ANTIOSSIDANTE E DETOSSIFICAZIONE

L’attività antiossidante aiuta a combattere i danni causati dai radicali liberi, (RL) che rappresentano lo scarto delle reazioni del metabolismo umano. I RL sono praticamente il prodotto della biotrasformazione metabolica che il nostro organismo pratica attraverso l'elaborazione degli alimenti che quotidianamente mangiamo. Tali molecole RL sono altamente reattive e possono indurre un invecchiamento precoce dei tessuti, dalla pelle agli organi interni, delle vene e arterie, malattie cardiovascolari come ictus e infarto cardiaco, fino a malattie altamente degenerative come alcuni tipi di tumore. Alcuni polimorfismi presenti in geni specifici possono alterare la produzione e la funzione degli enzimi antiossidanti.

 

Superossido dismutasi manganese dipendente (MnSOD): polimorfismi C(-28)T e T175C

La superossido dismutasi manganese dipendente (MnSOD), un enzima antiossidante mitocondriale che catalizza la conversione dei radicali superossido in idrogeno perossido. L’ MnSOD è codificata dal gene SOD2 localizzato al locus 6q25. Il gene presenta due polimorfismi, C(-28)T e T175C: il polimorfismo C(-28)T influenza la distribuzione intracellulare dell’enzima, prevenendo l’ingresso di quest’ultimo all’interno dei mitocondri. Tale polimorfismo è stato associato ad un rischio maggiore di sviluppo di alcune patologie, in particolare quelle cardiovascolari. Tuttavia è l’assenza del polimorfismo, e non la sua presenza, a favorire lo sviluppo di tali patologie. L’effetto favorevole della presenza di tale polimorfismo è dovuto al fatto che l’enzima rimane funzionale, ma distribuito all’interno della cellula invece che essere concentrato nei mitocondri. Il rischio di insorgenza delle suddette patologie diminuisce con una maggiore introduzione con la dieta di cibi ricchi di antiossidanti. Il polimorfismo T175C, invece, riduce la stabilità dell’enzima attivo di circa 3 volte.

 

Superossido Dismutasi (SOD3): polimorfismo C760G

Il SOD3 è il principale enzima antiossidante delle pareti dei vasi sanguigni. I livelli più elevati di SOD3 sono riscontrati nel cuore, nella placenta, nel pancreas e nei polmoni. Moderati livelli di SOD3 sono anche riscontrabili nei reni, muscoli e fegato. E’ stato dimostrato che il polimorfismo C760G determina il rilascio dell’enzima SOD3 dalle pareti dei vasi nel sangue ed è associate ad una riduzione dell’attività antiossidante tissutale. Ciò può contribuire allo sviluppo di patologie coronariche. Sandstrom, 1994, J. Biol. Chem. 269: 19163-19166

 

Glutatione S-transferasi
Le glutatione S-transferasi (GSTs) sono una famiglia di isoenzimi detossificanti che catalizzano la coniugazione di varie molecole tossiche con il glutatione rendendole meno reattive e più facilmente eliminabili dall’organismo. Tali enzimi sono codificati da geni polimorfici comprendente 5 classi: alpha, Pi, Mu, Theta e Zeta.
Glutatione S-transferasi P1 (GSTP1): polimorfismi I105V e A114V
Recentemente, due comune polimorfismi del gene GSTP1 sono stati associati ad una consistente diminuizione dell’ attività dell’enzima. Uno di questi polimorfismi, I105V, è caratterizzato da una singola sostituzione A>G a livello del nucleotide 313 e determina a livello della proteina una sostituzione aminoacidica alanina>valina in posizione 105; l’altro polimorfismo, A114V, è caratterizzato da una singola sostituzione C>T a livello del nucleotide 341 e determina a livello della proteina una sostituzione aminoacidica isoleucina>valina in posizione 114. La variante GSTP1 105Val ha una frequenza del 33% tra la popolazione Caucasica con un 14% di omozigoti.

 

Glutatione S-transferasi mu, M1 (GSTM1): delezione del gene

Questo polimorfismo, caratterizzato dalla delezione della maggior parte della regione codificante del gene, determina una perdita di funzionalità dell’enzima.

 

Glutatione S-transferasi theta, T1 (GSTT1): delezione del gene

Questo polimorfismo, caratterizzato dalla delezione della maggior parte della regione codificante del gene, determina una perdita di funzionalità dell’enzima. E’ stato inoltre associato con un aumentato rischio di tumore ai polmoni, laringe, vescica, prostata e tumore della cervice uterina.

 

METABOLISMO OSSEO E OSTEOPOROSI

L'osteoporosi rappresenta la più frequente malattia metabolica dello scheletro, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da una alterazione della microarchitettura cui consegue un aumento della fragilità e della suscettibilità alle fratture.
Già da parecchio tempo è stata verificata una familiarità per l'osteoporosi, tuttavia solo negli ultimi anni sono iniziati studi volti a identificare e caratterizzare le componenti genetiche di tale malattia. Il picco di massa ossea che si osserva tra i 20 e 30 anni di età è determinato in gran parte da fattori genetici come pure la velocità con cui si riduce la massa ossea in seguito alla menopausa o all'invecchiamento. Inoltre durante la vita si possono accumulare fattori di rischio ambientali che possono risultare determinanti per l'insorgere della malattia.
Dunque la patogenesi dell'osteoporosi è il risultato di complesse interazioni fra predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali. I fattori genetici giocano un ruolo importante nella patogenesi dell’osteoporosi e sono rappresentati dal pool di geni che regolano l’espressione dei caratteri legati allo sviluppo della patologia (massa e microarchitettura ossea). I fattori ambientali comprendono abitudini alimentari (introito di calcio e vitamina D), consumo di alcool, tabacco e caffè, attività fisica, assunzione di farmaci che interferiscono con il metabolismo fosfo-calcico ed esercitano soprattutto un effetto selettivo sulle caratteristiche genetiche dell’individuo. Infatti, nonostante siano evidenti diverse influenze ambientali su determinazione e mantenimento della densità minerale ossea (BMD), studi su gemelli e famiglie osteoporotiche indicano che il contributo genetico alla patogenesi dell’osteoporosi è responsabile del 75-85% della variabilità interindividuale della BMD.
Polimorfismi genetici associabili all'osteoporosi.


La caratterizzazione dei marcatori genetici legati all'ereditarietà di una bassa densità minerale ossea potrebbe permettere di identificare precocemente gli individui suscettibili a sviluppare osteoporosi. In questo modo si potrebbe attivare una prevenzione mirata con terapie specifiche e modifiche allo stile di vita, tali da ridurre al massimo il rischio ambientale negli individui geneticamente predisposti a sviluppare la malattia.


Dal 1995 ad oggi sono stati iniziati diversi studi atti ad identificare e caratterizzare polimorfismi in diversi geni correlati al metabolismo osseo: tali analisi hanno lo scopo di evidenziare correlazioni tra la presenza di una determinata variante allelica e una situazione di ridotta densità di massa ossea. Diversi polimorfismi sono stati sino ad ora identificati ed analizzati: all'interno dei geni che codificano per il recettore della vitamina D (VDR), Collagene IA1 (COLIA1), recettore della calcitonina (CTR) e recettore degli estrogeni (ESR). I risultati ottenuti da questi studi permettono di affermare che l'osteoporosi è una malattia poligenica, quindi una determinazione più certa della predisposizione alla malattia richiede l'analisi dei diversi polimorfismi.
Recettore della Vitamina D (VDR): polimorfismi Fok1, BsmI, e TaqI.


La Vitamina D promuove l’assorbimento intestinale e renale del calcio ed è indispensabile per lo sviluppo ed il mantenimento della massa ossea. La vitamina D è anche coinvolta nei processi di controllo della proliferazione e della differenziazione cellulare, nonchè nella immuno-modulazione. Nel sistema immunitario, ad esempio, la vitamina D promuove la differenziazione dei monociti ed inibisce la proliferazione dei linfociti attraverso l’increzione di citochine come IL-2 , l’IL12 e l’ interferon –γ. In alcuni tipi di cellule di carcinoma, la vitamina D ha dimostrato un’attività antiproliferativa.
Gli effetti della Vitamina D sono mediati dal suo recettore nucleare (VDR), che forma un complesso eterodimerico con il recettore dell’acido retinoico ed interagisce con i fattori di trascrizione. VDR (12q12-14) codifica per una proteina di 427 aminoacidi (aa), che regola il trasporto e l’omeostasi del calcio ed è stato proposto come il locus a maggior effetto genetico sulla BMD negli studi di associazione. Sono presenti diversi siti polimorfici nella regione 3’ del gene umano VDR identificati dalle endonucleasi di restrizione TaqI e BsmI, ed un’altra variante polimorfica, riconosciuta da FokI, a livello del presunto codone di inizio della trascrizione nell’esone 2. Gli alleli vengono rispettivamente chiamati T-t, B-b e F-f: le lettere minuscole identificano la presenza del sito di restrizione e le lettere maiuscole indicano l’assenza di tale sito. Tali polimorfismi possono condizionare la risposta a vari componenti dietetici con possibili rischi di sviluppo di patologia.


È ormai ampiamente dimostrato un coinvolgimento funzionale degli alleli del VDR nell’omeostasi del calcio e nella mineralizzazione dell’osso. Gli studi iniziali hanno consentito di riscontrare l’interazione tra il gene del VDR, l’assorbimento di calcio e i livelli di calcio nella dieta. Le variazioni alleliche del gene VDR spiegano per il 70% gli effetti genetici sulla densità ossea.


Il polimorfismo Fok1 consiste in una sostituzione nucleotidica T-C a livello del codone di inizio della traduzione del gene VDR (ATG®ACG). Tale polimorfismo determina la traslazione di tre aminoacidi dal sito d'inizio della traduzione del gene con conseguente alterazione della relativa proteina, mancante di tre aminoacidi. Il nucleotide T viene anche definito allele f, mentre il nucleotide C viene definito allele F. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi ff (TT), Ff (CT) e FF (CC). Il genotipo FF (forma corta) provoca un aumento dell’attivazione della trascrizione. Il genotipo ff è stato associato ad una bassa BMD lombare in donne Ispano-Americane in età postmenopausale, Giapponesi, Nordamericane e Italiane.
Anche i fattori ambientali, come l’assunzione di calcio giornaliero, possono modulare gli effetti dei genotipi di FokI sulla BMD. I risultati ottenuti da tutti questi studi di associazione mostrano come i polimorfismi di VDR da soli non siano marcatori genetici utili per assegnare il rischio di Osteoporosi, sebbene risultino molto utili per spiegare la variabilità della BMD osservata nella popolazione.


Il polimorfismo BsmI, localizzato nell’introne 8 del gene VDR e consistente in una variazione nucleotidica A-G, è associato invece alla variazione della stabilità del trascritto e ad una diminuzione dei valore della BMD. Il nucleotide A viene anche definito allele B, mentre il nucleotide G viene definito allele b. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi BB (AA), Bb (AG) e bb (GG).I valori di densità più elevati sono risultati a carico dell’allele b, mentre il meno frequente allele B è risultato associato con valori di BMD inferiori. Quindi il genotipo BB predisporrebbe ad un basso livello di massa ossea. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che il genotipo BB predispone ad un ridotto assorbimento di calcio a livello intestinale.
Il polimorfismo TaqI, localizzato nell’esone 9 del gene VDR, a livello del codone 352, consiste in una variazione nucleotidica T-C. . Il nucleotide T viene anche definito allele T, mentre il nucleotide C viene definito allele t. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi TT (TT), Tt (TC) e tt (CC).Tale polimorfismo è stato associato ad un aumento del turnover delle cellule ossee con conseguente aumento del rischio di una ridotta BMD ed osteoporosi.


Diverse altre patologie sono state correlate alla associazione con i suddetti polimorfismi nel gene VDR, tali da poter influenzare l’espressione o la funzione della proteina. In particolare, tali polimorfismi (Fok1, BsmI, e TaqI), possono condizionare la risposta a vari componenti dietetici con possibili rischi di sviluppo di patologia. In letteratura sono noti alcuni lavori che correlano l’associazione del polimorfismo VDR Fok1 con il genotipo FF, con il rischio di sviluppo del carcinoma del colon, in rapporto all’apporto di calcio e grasso nell’alimentazione. In particolare, è stato evidenziato come, sebbene il calcio o il grasso alimentari non correlano normalmente con il rischio di sviluppo di carcinoma del colon nei soggetti con genotipo FF, in quelli con genotipo a combinazione allelica multipla ff/Ff, un diminuito apporto del calcio o del grasso nell’alimentazione aumenterebbe tale rischio. Per individui con genotipo ff e dieta povera di grasso e calcio, il rischio di sviluppo del carcinoma del colon era di circa 2.5 volte maggiore rispetto agli altri. Morrison et al. (1994) 367(6460):284-7. Arai (1997) J Bone Miner Res 12, 915.

 

Collagene di tipo I (COLIA1): polimorfismo introne 1 2046G-T

Il collagene di tipo I è il è il maggiore componente organico (90%) della matrice ossea. Nei soggetti osteoporotici le catene collageniche sono normali, tuttavia è stato identificato un polimorfismo nel sito regolatore del gene COLIA1 che sembra essere più frequente rispetto ai controlli normali. Questo polimorfismo, che si trova nel sito di legame per la trascrizione del fattore SP1 nel primo introne del COLIA1, risulta associarsi non solo con la massa ossea ma anche con le fratture osteoporotiche in diverse popolazioni caucasiche. Questo fa sì che il COLIA1 acquisti particolare interesse, dal momento che l’associazione con le fratture è più forte di quella tra genotipo e massa ossea. È da sottolineare anche che questo polimorfismo è pressoché assente nelle popolazioni dell’Asia e dell’Africa, dove peraltro più bassa è l’incidenza di fratture osteoporotiche.
Diversi studi sul COLIA1 dimostrano che l’effetto genetico del COLIA1 è fortemente associato con i valori di massa ossea ridotti e la relazione appare più stretta a livello della colonna. In particolare l’allele T (s), sia in eterozigosi G/T (Ss) che in omozigosi T/T (ss)appare più frequente nei soggetti con osteoporosi grave associata alle fratture vertebrali. Pertanto è stato suggerito che il COLIA1 possa predisporre alle fratture influenzando altri determinanti del rischio fratturativo come la qualità dell’osso o la geometria dello scheletro. Non è da escludere che i soggetti più a rischio con genotipo ss abbiano un’alterata produzione di collageno con conseguente riduzione del picco di massa ossea e probabilmente dello spessore delle trabecole. L’ipotesi che il genotipo ss si associ a un’alterata produzione del collageno risulta peraltro in accordo con precedenti dati istomorfometrici secondo i quali i soggetti con fratture vertebrali hanno una ridotta capacità di formazione ossea. Grant (1996) Nat Genet 14, 203
 

Recettore della calcitonina (CTR): polimorfismo PRO463LEU

Un altro gene più recentemente studiato nell’osteoporosi è quello del recettore della calcitonina (CTR). La calcitonina è un ormone implicato nel riassorbimento dell’osso e agisce attraverso specifici recettori presenti in largo numero sugli osteoclasti. E’ stato identificato un polimorfismo del gene del CTR consistente in una variazione nucleotidica C-T a livello del codone 463 (PRO463LEU). Tale mutazione è stata associata, in condizioni di omozigosi (genotipo TT, 463LEU) a riduzione della massa ossea. Masi (1998) Biochem Biophys Res Commun 248, 190
Recettore Estrogenico 1 (ESR1): polimorfismi PvuII (IVS1-397 T/C) e XbaI (IVS1-351 A/G)
Gli estrogeni sono indispensabili per l’acquisizione del picco di massa ossea in entrambi i sessi e per il suo mantenimento negli adulti. Condizioni patologiche associate ad un deficit prematuro degli estrogeni accelerano la perdita della massa ossea. Il deficit estrogenico è la causa principale d’Osteoporosi postmenopausale e gioca un ruolo importante anche nell’Osteoporosi senile, causando in entrambi i casi una maggiore incidenza di fratture dovute alla fragilità delle ossa. Le due isoforme del recettore estrogenico (ER-beta e ER-alpha) sono codificate da due geni diversi (ESR2 e ESR1) con distribuzione tessuto specifica e hanno capacità diverse nel legare il ligando (estrogeni ed antiestrogeni) e nell’attivazione della trascrizione dei geni bersaglio. Diverse osservazioni mostrano il coinvolgimento di questi recettori nella determinazione della BMD in entrambi i sessi. Nel gene ESR1 (6q25) sono stati descritti diversi polimorfismi, ma tutti gli studi di associazione si focalizzano su 2 di essi, localizzati a livello delll’introne 1 (riconosciuti da PvuII e XbaI e chiamati rispettivamente P-p e X-x, in base alla presenza o assenza del sito di restrizione).
Il polimorfismo PvuII è localizzato nell’introne 1 del gene ESR1 e consiste in una variazione nucleotidica T/C in posizione -397. Il nucleotide T viene anche definito allele p, mentre il nucleotide C viene definito allele P. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi pp (TT), Pp (CT) e PP (CC). Il genotipo PP è associato ad una disfunzione recettoriale con ridotta risposta agli estrogeni endogeni, una BMD più bassa ed un maggiore rischio di Osteoporosi.
Il polimorfismo XbaI è localizzato nell’introne 1 del gene ESR1 e consiste in una variazione nucleotidica A/G in posizione -351. Il nucleotide A viene anche definito allele x, mentre il nucleotide G viene definito allele X. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi xx (AA), Xx (GA) e XX (GG). E’ stata riscontrata un’associazione tra il genotipo XX un maggiore rischio di frattura attraverso un meccanismo BMD-indipendente.
 

 

Intolleranza al latte

 

L'intolleranza allo zucchero del latte, il lattosio, sebbene identificata dai medici solo nel 1960, è probabilmente l'intolleranza alimentare più diffusa al mondo e non è da confondersi con l'allergia al latte, che invece deriva da una reazione del sistema immunitario alle proteine in esso contenute.

 

I sintomi

Ci sono diversi gradi di intolleranza al lattosio che vanno da pressoché totale a molto moderata, dipende da caso a caso. In genere comunque da trenta minuti a due ore dall'ingestione di latte o derivati si comincia ad avvertire nausea, senso di gonfiore, crampi, meteorismo, disturbi intestinali e, a volte, il tutto è accompagnato da rash cutanei, e va avanti per ore o addirittura giorni nei casi di intolleranza più acuta. Spesso, anche se l'intolleranza è già presente, i sintomi restano nascosti per anni e si manifestano all'improvviso nell'età adulta.

 

Le cause

La molecola del lattosioL'intolleranza al lattosio è in genere dovuta alla mancanza di un enzima, la lattasi, prodotta dalle cellule del primo tratto dell'intestino. In questo caso si parla di deficienza primaria, ed è ereditaria, cioè trasmessa dai genitori ai figli. Possono esserci però casi (ad esempio morbo di Crohn, celiachia, infiammazioni e infezioni dell'intestino) in cui danni all'intestino uccidono le cellule che producono la lattasi ed in questo caso si può avere un'intolleranza secondaria (acquisita).

Il lattosio è uno zucchero (dolce circa un terzo del normale zucchero di cucina) contenuto nel latte ed in tutti i suoi derivati, ed è composto da due particelle più piccole, il glucosio ed il galattosio. L'intestino non può assorbire il lattosio così com'è, ma deve prima spezzarlo nei suoi due componenti base e questo compito è assolto dalla lattasi. In assenza dell'enzima, il lattosio resta indigerito nell'intestino ed è attaccato da batteri e altri microrganismi, i quali lo fermentano producendo scorie che causano i sintomi, come la nausea o i gas (metano, idrogeno).

 

L'origine

Un bambino che beve il latteTutti i bambini fino a due anni di età circa producono la lattasi per poter assimilare il latte materno. Poi, con lo svezzamento, nelle persone intolleranti l'enzima non viene più prodotto, o viene prodotto in quantità via via sempre più limitate fino all'età adulta. Esiste tuttavia una distribuzione particolare nell'intolleranza al lattosio tra le varie popolazioni del mondo, dal momento che sembra che alcuni gruppi etnici siano più affetti di altri: in uno studio svolto in America, è risultato che fino all'80% dei neri americani di origine africana non producono lattasi, così come gli indiani americani, intolleranti per l'80-100% dei casi, e il 90-100% degli asiatici americani, mentre questa condizione è molto meno frequente tra i discendenti dei nord europei.

 

In Italia, uno studio ha dimostrato che il 51% dei settentrionali (con i nonni provenienti da Piemonte, Lombardia e Veneto) ed il 71% dei Siciliani manca del gene per la lattasi (anche se a volte non ne sono consapevoli in quanto non manifestano i sintomi), ricalcando un gradiente Nord-Sud comune a tutta l'Europa. Altri studi, tuttavia, sembrerebbero mostrare che queste percentuali sono molto più basse.

 

Intolleranza primaria al lattosio (Primary Lactose Intolerance PLI)

La PLI è riconducibile ad un polimorfismo nella posizione -13910 della regione regolatrice del gene della lattasi, che nell’omozigosi porta ad una carenza di lattasi nei microvilli dell’intestino tenue. La trasmissione ereditaria è autosomica recessiva, solo i portatori omozigoti sono dunque affetti dalla PLI. Con una probabilità > 95% i portatori omozigoti sviluppano una carenza di lattasi manifesta ai sensi di un test H2 patologico. Nell’Europa la frequenza dei portatori omozigoti ammonta a ca. il 15%. Un ulteriore 45% sono portatori eterozigoti di una mutazione, tuttavia non colpiti dalla PLI.

Nei soggetti colpiti la quantità di lattasi richiesta diminuisce continuamente fino al 20° anno di età subentrando quindi i sintomi della malattia.

Sintomi: pesantezza di stomaco, flatulenza, dolori addominali, coliche, diarrea, nausea e vomito dopo l’assunzione di latticini, di altri prodotti contenenti lattosio e di medicinali. In casi severi si possono susseguire ulteriori sintomi quali sintomi carenziali, alterazioni cutanee e stati di umore depresso. In età avanzata i sintomi possono peggiorare.

 

Genotipizzazione

Il metodo con test genetico evidenzia la presenza del polimorfismo -13910 T/C del gene della lattasi (LCT) e pertanto la predisposizione alla PLI.

 

 

Genotipo Incidenza Interpretazione
-13910 TT ca. 40% nessun segno di PLI
-13910 TC ca. 45% nessun segno di PLI, portatore
-13910 CC ca. 15% predisposizione genetica per PLI (Europa)

Enattah (2002) Nat Genet 30, 233

 


 

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